Questa possibilità emerge da uno studio condotto su 138 pazienti di Wuhan, Cina e suggerisce l'utilizzo di alcuni farmaci, accanto al trattamento anticoagulativo, per limitare l'infiammazione delle citochine.
L'epidemia di COVID-19 potrebbe incentivare lo switch (dove possibile) da AVK a DOAC, in modo da ridurre gli accessi ai Centri specializzati.
Al 5° Convegno di Anticoagulazione.it si è affrontato l’argomento, visto che il rischio di tromboembolismo venoso aumenta con l’età e, a 40 anni, risulta almeno 10 volte superiore rispetto a 20 anni. Gli esperti hanno discusso di prevenzione e di come comunicare con le pazienti.
Gli anticoagulanti orali diretti si sono dimostrati più efficaci e sicuri, ma hanno determinato un aumento delle emorragie e possono interferire con alcuni farmaci antitumorali. La questione è ancora aperta e durante il 5° Convegno di Anticoagulazione.it si sono discusse le alternative a disposizione.
Un nuovo studio non chiarisce i dubbi lasciati aperti da altri lavori: in una popolazione ad alto rischio per sindrome post-trombotica, l’uso di misure aggiuntive al trattamento anticoagulante standard porta al più un modesto vantaggio, a fronte del rischio di complicanze maggiori e a un impegno clinico e per il paziente importante.
I dati di un recente studio confermano che nei pazienti in trattamento con anticoagulanti diretti il controllo clinico e l’aggiustamento terapeutico secondo gli schemi proposti in funzione del filtrato renale rappresenta un criterio di sicurezza irrinunciabile per il paziente.