Nei pazienti con epatopatia avanzata gli anticoagulanti orali diretti sono controindicati perché questi soggetti non sono stati inclusi nei trial registrativi. Adesso una metanalisi ha valutato le evidenze presenti in letteratura, dimostrando un chiaro vantaggio dei DOAC rispetto agli AVK o all’eparina a basso peso molecolare.
L’inibitore del fattore XI della coagulazione abelacimab ha mostrato un’efficacia e sicurezza analoghe a enoxaparina per la prevenzione del tromboembolismo venoso nella chirurgia protesica del ginocchio. Secondo gli esperti questo aggiunge evidenze a favore dell’utilizzo degli anticorpi monoclonali anti-fattore XI per limitare il rischio di sanguinamento.
Una recente revisione ha fatto il punto sulla situazione, concentrandosi in particolare sull’eparina non frazionata utilizzata in ambienti intensivistici.
Sono quelle che colpiscono certe vene addominali. Si è sempre pensato che fossero forme piuttosto rare, ma negli ultimi anni alcuni studi hanno dimostrato che forse non è proprio così.
Quale sia il dosaggio di anticoagulante ottimale da somministrare ai pazienti ospedalizzati con COVID-19 è tuttora al centro di alcuni studi. Due lavori recenti hanno valutato l’utilizzo di eparine a dose profilattica e terapeutica in pazienti critici e non. Il vantaggio di una anticoagulazione con dosi terapeutiche, in assenza di indicazioni specifiche, non è emerso nel caso dei pazienti critici ed è risultato modesto nel gruppo dei pazienti meno gravi, al costo di un rischio raddoppiato di complicanza emorragica maggiore.
Le linee guida internazionali consigliano un'anticoagulazione per un massimo di tre mesi in questa popolazione di pazienti, ma un recente studio ha dimostrato come queste indicazioni siano spesso disattese nel nostro Paese, portando a un incremento della probabilità di complicanze emorragiche, senza vantaggi clinici.