Numerose pubblicazioni negli ultimi mesi hanno suggerito una peculiare associazione tra eventi trombotici ed infezione da SARS-CoV-2 ed è stato anche coniato il termine di coagulopatia associata a COVID-19.

Tuttavia, non è ancora stato chiarito completamente se l’infezione da SARS-CoV-2 si associ intrinsecamente a un effetto procoagulante oppure se lo sviluppo della coagulopatia dipenda maggiormente dalla violenta risposta infiammatoria.

IN BREVE...
Negli ultimi mesi è stato coniato il termine di coagulopatia associata a COVID-19 per indicare l’associazione tra eventi trombotici e infezione da SARS-CoV-2. Tuttavia, non è ancora stato chiarito completamente se l’infezione si associ a un effetto procoagulante oppure se lo sviluppo della coagulopatia dipenda maggiormente dalla violenta risposta infiammatoria.
I dati di incidenza di trombosi venosa profonda (TVP) nei pazienti ricoverati per COVID-19 sono molto diversi e non in tutti i casi è stata dimostrata una significativa differenza rispetto a pazienti senza COVID-19 ma con profilo di rischio tromboembolico simile. Queste discrepanze di risultati testimoniano profili di rischio diversi in funzione, tra le altre cose, del contesto clinico (reparti di degenza ordinaria rispetto a terapie intensive), delle strategie diagnostiche (test di screening, estensione delle ecografie) e del tipo e dell’intensità della profilassi instaurata. Tuttavia, questa diversità è indicativa anche di possibili lacune metodologiche in diversi studi.
Oltre a questo, sarebbe cruciale anche comprendere se l’embolia polmonare (EP) sia un evento frequente nei pazienti con COVID-19 e se sia il principale fattore peggiorativo dell’insufficienza respiratoria. In questo caso, tuttavia, l’impresa è ancora più ardua per la maggior difficoltà diagnostica rispetto alla trombosi venosa profonda. In questo contesto è centrale l’interazione tra SARS-CoV2 ed endotelio, che può avvenire attraverso diversi meccanismi.


I dati di incidenza di trombosi venosa profonda (TVP) nei pazienti ricoverati per COVID-19 sono altamente eterogenei (dallo 0% all’85%) e non in tutti i casi è stata dimostrata una significativa differenza rispetto a un gruppo di controllo costituto da pazienti senza COVID-19 ma con profilo di rischio tromboembolico simile. Tali discrepanze di risultati testimoniano profili di rischio diversi in funzione, tra le altre cose, del contesto clinico (reparti di degenza ordinaria rispetto a terapie intensive), delle strategie diagnostiche (test di screening, estensione delle ecografie) e del tipo e dell’intensità della profilassi instaurata. Tuttavia, tale eterogeneità è indicativa anche di possibili lacune metodologiche in diversi studi. Oltre alla TVP, risulta cruciale anche comprendere se l’embolia polmonare (EP) sia un evento frequente nei pazienti con COVID-19 e se sia il principale fattore peggiorativo dell’insufficienza respiratoria. Tuttavia, la precisione dei dati sull’incidenza dell’EP è resa ancora più difficile dalla maggior difficoltà diagnostica rispetto alla TVP. Inoltre, la fisiopatologia degli eventi embolici polmonari necessita di essere chiarita distinguendo eventi tromboembolici venosi “classici” da eventi trombotici possibilmente sviluppatesi “in situ”, causati da un’attivazione locale della coagulazione.

In questo contesto assume un ruolo centrale l’interazione tra SARS-CoV2 ed endotelio che può avvenire attraverso diversi meccanismi. Un primo meccanismo è rappresentato dall’infezione diretta delle cellule endoteliali che esprimono ACE2, il recettore usato da SARS-CoV-2 per infettare le cellule. L’infezione diretta delle cellule endoteliali da parte di SARS-CoV-2 provoca una condizione di endotelite caratterizzata da disfunzione endoteliale, lisi e morte cellulare ed è stata dimostrata in studi effettuati su reperti autoptici di pazienti COVID-19 nei quali si è osservata la presenza di elementi virali all’interno delle cellule endoteliali, infiammazione endoteliale diffusa e l’accumulo di cellule infiammatorie nel letto vascolare di diversi organi.

Un secondo meccanismo è rappresentato dall’azione indiretta di SARS-CoV-2 sulla funzionalità endoteliale. Infatti l’infezione da SARS-CoV-2 determina una condizione infiammatoria che nei pazienti con quadro più severo si manifesta come una vera e propria tempesta citochinica. Tale infiammazione determina una condizione di disfunzione endoteliale che conduce a incremento dell’adesione leucocitaria, edema, trombosi e ipertensione per aumento del tono vasale. Infatti, mentre in condizioni fisiologiche l’endotelio offre al sangue una superficie anti-coagulante e anti-aggregante piastrinica, in risposta a stimoli infiammatori le cellule endoteliali aumentano l’espressione di molecole di adesione che inducono la migrazione transendoteliale di leucociti e aumentano l’espressione di molecole pro-coagulanti e pro-trombotiche.

Inoltre, nei casi più severi di COVID-19 si assiste anche all’attivazione dei pathways della coagulazione con potenziale sviluppo di coagulazione intravascolare disseminata. Anche questa complicanza dei pazienti COVID-19 è collegata alla presenza di disfunzione endoteliale poiché la morte delle cellule endoteliali e la conseguente perdita dell’integrità della parete vascolare determinano l’esposizione della membrana basale sottostante e quindi l’attivazione della cascata coagulativa.


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Francesca Calcaterra

Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Traslazionale, Laboratorio di Immunologia Clinica e Sperimentale, Humanitas Research Hospital, Milano

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