Un recente lavoro ha confermato quanto suggerito da studi precedenti: esiste un’interferenza tra Pcr e APTT. Tuttavia, al momento questa sembrerebbe significativa solo qualora si usi un reagente a basso contenuto di fosfolipidi e solo in quei pazienti che hanno livelli molto elevati di Pcr.
È quanto emerso da uno studio austriaco che ha osservato 815 persone per 8.5 anni. Sebbene la protezione impartita da livelli ridotti di FXI non sia così elevata, i risultati consentono di guardare con ottimismo allo sviluppo di nuovi farmaci antitrombotici con target FXI.
Mentre è nota l’associazione tra la mutazione della protrombina G20210 A e il Fattore V Leiden con un primo episodio di tromboembolismo venoso, rimane incerta l’associazione tra le due mutazioni e un aumento del rischio di ricorrenza di trombosi o embolia polmonare.
Il tromboembolismo venoso (TEV) è una malattia diffusa, che comprende la trombosi venosa profonda (TVP nel 60% dei casi) e l’embolia polmonare (EP, nel 40%). La diagnosi di TEV si basa sul dosaggio dei D-dimeri e su esami strumentali quali l’ecocolordoppler, l’angio-TAC, la scintigrafia polmonare perfusoria.
I NAO non necessitano di un aggiustamento posologico, sulla base del test di laboratorio, come invece succede per i farmaci antagonisti della vitamina K (Coumadin e Sintrom). Esistono però delle situazioni particolari:
Quando membri della stessa famiglia sono esposti a un aumentato rischio di TEV (occlusione delle vene profonde delle gambe e embolia polmonare) si parla di trombofilia ereditaria.