Se la nota AIFA 97 del giungo 2020, allargando ai Medici di Medicina Generale (MMG) la possibilità di prescrivere gli anticoagulanti orali diretti (DOAC) per la fibrillazione atriale non valvolare (FANV), è stata accolta con entusiasmo dai pazienti che non avevano più bisogno di rivolgersi ai sempre più rari centri specialistici ospedalieri per l’inizio o il rinnovo del piano terapeutico, per alcuni pazienti questa possibilità (che non è un obbligo) si è rivelata un’arma a doppio taglio: demandati dal proprio centro specialistico al MMG si sono visti negare la prescrizione con il grave rischio di interrompere l’assunzione del farmaco ed esporsi ad eventi trombotici.

Il referente FCSA Emilia-Romagna ci spiega come è possibile migliorare il percorso di cura dei pazienti anticoagulati, evitando inefficienze che, caricando eccessivamente di lavoro burocratico i medici, sottraggono tempo alle visite.

Se misurare la concentrazione plasmatica dei farmaci anticoagulanti orali diretti (DOACs) può rivelarsi una vera avventura per il medico ospedaliero (e non), soprattutto se lavora in un piccolo centro, ciò vale anche e sorprendentemente per farmaci in circolazione da ben più tempo, come le eparine a basso peso molecolare.

In un venerdì sera di dicembre un uomo di 88 anni si trova in Pronto soccorso: è stato mandato dal suo medico di medicina generale (MMG), in seguito a un referto specialistico in cui veniva segnalata una fibrillazione atriale.

Il fatto che gli anticoagulanti orali diretti necessitino di meno esami di controllo rispetto agli AVK ha portato alla carenza degli strumenti da utilizzare in caso di emergenza.

Un nostro lettore che risiede nel Sud Italia ci ha segnalato un cortocircuito per quanto riguarda la Nota 97 dell’AIFA, che – dal giugno di quest’anno – prevede che anche i medici di medicina generale possano prescrivere gli anticoagulanti orali diretti (DOAC) e gli antagonisti della vitamina K (AVK).

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